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Il Burnout è una realtà, specialmente nella professione dell’insegnante: i perché sono moltissimi e spesso la gravità è anche legata alle capacità personali di resistere al quotidiano, utilizzando strumenti razionali ed emotivi per gestire lo stress che l’attività lavorativa comporta. Da cosa nasce il Burnout? Principalmente da un senso di inadeguatezza alle mansioni che vengono svolte, soprattutto quando le aspettative di risultato sono alte e in modo particolare quando le attività sono legate a temi importanti, quali la salute pubblica e la gestione della crescita dei giovani.

Marcello Pacifico (presidente Udir): Spesso argomenti serissimi come Burnout e Resilienza degli insegnanti vengano minimizzati, ma purtroppo, dietro a questa superficialità, si cela una scarsa conoscenza dei fenomeni nell’ambiente scolastico. Per poter invece porre un rimedio al problema è necessario analizzare le cause, i sintomi e possedere i mezzi per poterli combattere fin da subito, non solo per il singolo individuo, ma per tutta la comunità scolastica. Sottovalutare il Burnout può essere davvero molto pericoloso: proprio per questo Udir, in collaborazione con Eurosofia, ha progettato una serie di importanti seminari che saranno avviati con l’inizio del nuovo anno scolastico, per permettere a tutti di apprendere le nozioni necessarie. Hanno altresì predisposto una sequela di convegni e seminari sia sul nuovo Ccnl che sui temi della sicurezza: anche questi convegni partiranno da settembre 2018.

 

Il crollo del ponte Morandi dovrebbe rappresentare un monito per tutte le istituzioni preposte alla messa a norma di tutte le strutture pubbliche, a partire dai 42 mila plessi scolastici dove da settembre torneranno quasi otto milioni di alunni, oltre 850 mila insegnanti, 250 mila Ata e 6 mila dirigenti scolastici. Ancora di più perché nella giornata odierna è stata pubblicata, dal Sole 24 Ore, una notizia che lascia sconcertati: dei 6,2 miliardi di euro di fondi già stanziati e destinati all’edilizia scolastica, dal 2015 al 2018, sono stati utilizzati appena 604 milioni, quindi meno di un decimo. Le risorse, facenti capo alle Grandi Opere e alle relative spese messe in Bilancio, erano finalizzate alle migliorie delle strutture che fanno capo allo Stato, a partire quindi proprio dagli istituti scolastici, ma il 90 per cento ora si scopre che non sono stati utilizzati. Anzi, le spese risultano addirittura in calo per via delle lentezze burocratiche legate spesso alla compilazione di banche dati: il monitoraggio sulle opere pubbliche (Mop) è stato avviato solo nel 2016 e l’efficacia di questa banca dati dipenderà anche dalla rapidità nella risposta da parte delle amministrazioni nell’inserire tutte le informazioni.

Gli ultimi dati ci dicono anche che un plesso scolastico su cinque è chiuso per sempre o in attesa di essere messo a norma. Ci sono delle Regioni dove il numero di edifici scolastici non attivi, per vari motivi, supera abbondantemente quello delle strutture dove si fa didattica. Poi c’è il capitolo degli interventi necessari da attuare sulle scuole attive: i dati ufficiali ci dicono che il piano di emergenza e il documento di valutazione del rischio sono stati riscontrati con certezza da meno di tre scuole su quattro (rispettivamente 73% e 72%); il certificato di collaudo statico da una su due (49%); quello di agibilità–abitabilità e di omologazione alla centrale termica da una su tre (39%); la certificazione della prevenzione incendi in corsi di validità è presente appena in un’istituzione scolastica su cinque (21%); il nulla osta provvisorio, sempre di prevenzioni incendi, in una scuola su sei (16%). Del certificato di collaudo dell’impianto di spegnimento sono fornite appena il 9% delle scuole. Il problema, tuttavia, non è solo relativo ai finanziamenti, benché fondamentali.

Marcello Pacifico (Anief-Udir):Le procedure devono essere certamente accelerate, perché la metà dei nostri edifici scolastici ha quasi 50 anni, essendo stata realizzata prima del 1971, l’anno in cui entrò in vigore la normativa sul collaudo statico degli edifici. Duranti gli ultimi anni, la “stretta” sulle misure preventive e il logoramento delle strutture hanno prodotto la chiusura o la necessità di ristrutturare sempre più scuole: lo dimostra il fatto che ad oggi, rispetto a 42.292 edifici scolastici ve ne sono ben 8.450 dove non si svolgono le lezioni, poiché risultano in ristrutturazione, dismessi oppure in fase di ricostruzione. Ma anche le norme sulla responsabilità della manutenzione degli edifici scolastici devono essere cambiate rivendendo il Testo unico sulla sicurezza: Anief e Udir hanno chiesto in più sedi, modalità ed occasioni di fare ciò, anche esonerando le responsabilità della dirigenza scolastica, ma pure dei lavoratori, docenti e Ata responsabili della sicurezza (gli Rls e Rsp d'istituto), a seguito della loro denuncia agli organi competenti sul rischio e sugli interventi necessari. Ad oggi, in caso di crolli di scuole, a pagare per l'inerzia dell'amministrazione proprietaria, Comuni e Province, sono in primis loro: un atto di ingiustizia che per troppi si è tradotto in anni di carcere.

 

 

Il Ministro Marco Busseti parla di accorpamenti e riduzione del numero dei dirigenti scolastici. Udir si oppone fermamente: negli ultimi quindici anni sono state ridotte le presidenze di un terzo. Già così dirigere una scuola autonoma, in media con cinque-sei plessi quasi sempre sopra i 150 dipendenti e un migliaio di alunni, è estremamente difficile. Piuttosto che ridurre le sedi bisogna sbloccare le assunzioni con nuovi corsi riservati, per esempio, da estendere anche ai ricorrenti 2011 per evitare il licenziamento dei neo-assunti.

Marcello Pacifico (presidente nazionale Udir): Di certo noi non saremo della partita e lotteremo con tutte le nostre forze, affinché la scuola diventi comunità educante, distribuita sul territorio, avvantaggiata dai giusti investimenti e dalla corretta organizzazione. Ci muoveremo sulla base di quello che serve al paese per avere generazioni correttamente istruite. Su questa via da percorrere il Ministro ci troverà sempre al proprio fianco: in caso contrario, continueremo a difendere fino alla fine il diritto dei nostri giovani di avere la scuola che serve e non quella che le briciole dei vari governi permettono di fare.

 

 

Legge 107/2015, la buona scuola, ad oggi praticamente smantellata nei sui punti cardine, poneva 35 milioni di euro a carico del fun della dirigenza scolastica per riequilibrare la posizione fortemente vessata dei dirigenti scolastici sul piano economico.

In bilancio sono stati stanziati 37 mln per il 2018, 41 mln per il 2019, 96 mln dal 2020.

L’Aran durante la fase di discussione ha proposto un approccio legato esclusivamente alle risorse contrattuali, escludendo quindi qualsiasi possibilità di ampliamento delle risorse presenti per una corretta e vera ridistribuzione del significato economico della professione del DS rispetto ai suoi meglio pagati colleghi della dirigenza pubblica.

Suddetto approccio si rifà alla legge madia che propone una serie di percentuali di aumento, 0,36% – 2016 1,09%-2017 3,48%-2018, peraltro applicabili alle retribuzioni medie (erogate), che ovviamente penalizza ancora una volta chi prende di meno, ovvero i dirigenti scolastici.

Infatti, l’aumento medio previsto è di 125 euro mese, mentre ai dirigenti scolastici andrebbero circa 10 euro mese, lasciando il rimanente nella retribuzione di risultato, che normalmente viene erogata con ritardi biblici.

Altra cosa molto significativa è che l’attuale contratto ha valenza fino al 2108, per cui una parte delle somme stanziate ancora non sono definibili nella parte di distribuzione.

Ci si chiede alla fine di questo breve excursus perché per i dirigenti scolastici non si opera alla radice del problema, equiparando le voci stipendiali alla media delle voci stipendiali della dirigenza pubblica soprattutto, ma non vogliamo ripeterci, calcolando che i dirigenti scolastici sono quelli con un maggior carico operativo e di responsabilità.